Come ormai tutti sanno, lo smart-working (o lavoro agile) è la modalità di lavoro che ha permesso ad aziende e lavoratori di proseguire la propria attività in sicurezza nel periodo emergenziale e post-emergenziale (che ancora stiamo vivendo). Una modalità di lavoro ad obiettivi prefissati, senza i canonici vincoli inerenti al luogo o agli orari di lavoro, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro.

Lo smart-working solleva, tuttavia, alcune questioni normative che andrebbero affrontate al più presto dagli organi competenti, come la valutazione del lavoro e la sua retribuzione. Di questo ha parlato Paolo Pugliese, titolare dello Studio Pugliese, in un’intervista a “Il Secolo XIX”, che riportiamo qui sotto.

Intervista de “Il Secolo XIX”.

«Nel privato gli strumenti normativi per il lavoro agile esistevano già, per il pubblico impiego è un’innovazione nei fatti assoluta, benché fosse già consentito dalla legge», spiega Paolo
Pugliese, avvocato giuslavorista di Genova.
Perché, prima dell’emergenza, non è mai stata una strada percorsa?
«Si verificato un po’ quel che è accaduto con l’autocertificazione: la norma nasce nel 1968, poi però si è dovuto battere e ribattere, molte burocrazie non la accettavano. Così per il lavoro a distanza: il sistema non era ancora pronto».
Quali sono i problemi sul piatto adesso, dopo Ia fase più acuta dell’emergenza?
«ll primo: nella fase critica è stato permesso ai dipendenti I’utilizzo dei propri strumenti informatici. Si tratta di una situazione che, stabilizzandosi il lavoro a distanza dopo il contagio, apre tutta una serie di problemi: di privacy, di riservatezza, di sicurezza, di responsabilità».
Anche quello dell’effettiva valutazione del lavoro del dipendente?
«Sì e in maniera connessa anche quello della retribuzione, quando è difficile la quantificazione del lavoro prestato. Al di là di alcune figure di quadri e dirigenti, che non hanno specifici vincoli di orario e di presenza, questi invece sussistono per la maggior parte dei lavoratori. Imporre sistemi di controllo andrebbe a cozzare con l’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori, quello che impone il divieto di controllo del lavoro a distanza».
I sindacati chiedono ora che normativa e regolamentazione facciano parte della discussione sul rinnovo dei contratti di lavoro scaduti o in scadenza.
«Ha ragione il sindacato. Bisogna dire però una cosa: il fatto che il tema sia di fatto rimasto al di fuori della contrattazione collettiva dipende dal fatto che fino a oggi è sempre stato molto marginale. Ha sempre riguardato pochissimi casi».
Ora il quadro è cambiato con il coronavirus.
«Sicuramente. L’emergenza Covid ha di fatto imposto il lavoro a distanza o da casa come ineludibile per il futuro. Nel frattempo il progresso della tecnologia permette oggi di affrontare molti lavori in maniera differente dal passato».

 

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