Secondo le statistiche l’Italia (come anche l’Europa e il mondo intero) è ancora indietro in materia di parità di genere sul lavoro. Il divario retributivo e di occupazione dei ruoli manageriali è ancora troppo ampio: per arginarlo la legge 162/2021 compie alcuni (piccoli) passi in avanti, come la certificazione della parità di genere e l’obbligatorietà di redigere il rapporto aziendale periodico sulla parità di genere del personale.

Sarebbe meglio chiamarla “disparità di genere”…

Più che parità di genere, dovremmo chiamarla disparità. Anche a livello lavorativo – così come a livello sociale e culturale, ma non è questa la sede per approfondire – il divario tra uomo e donna è lontano dall’essere risolto. Parliamo di un divario di opportunità lavorative, di un divario retributivo a parità di ruolo e ore di lavoro, di un divario numerico nelle posizioni apicali delle aziende.

Sembra banale da dire, ma nel lavoro così come in qualsiasi altro aspetto, la differenza di genere dovrebbe essere fonte di complementarietà, di opportunità, di partecipazione, di ricchezza intesa non a livello materiale ma nel senso più ampio del termine.

Eppure, secondo l’ultimo rapporto del World Economic Forum sulla parità di genere, il Global Gender Gap Index – che si basa sui 4 indicatori lavoro, istruzione, salute e politica – il divario tra uomo e donna è colmato in media solo al 68%. Il paese “migliore” è l’Islanda. L’Italia è al 63° posto a livello mondiale e al 14° nell’Unione Europea.

Vi diamo un ultimo dato a livello europeo: in media le donne guadagnano il 16% in meno degli uomini, e il divario aumenta al 23% se si considerano i ruoli manageriali.

Normative e pari opportunità: un passo avanti è stato fatto

Ma andiamo oltre i numeri e le percentuali. Per ridurre il divario qualcosa è stato fatto. Il “Codice delle pari opportunità tra uomo e donna”, ovvero il D.Lgs. 198/2006, è stato modificato dalla legge 162/2021, che ha introdotto misure che responsabilizzano l’apparato pubblico e le società di maggiori dimensioni. Vediamo nel dettaglio queste misure.

  • Obbligo per le aziende con più di 50 dipendenti di redigere il rapporto aziendale periodico sulla parità di genere del personale. Il rapporto, da compilare ogni 2 anni, è condizione necessaria per poter presentare domanda di partecipazione o offerta nelle gare pubbliche che utilizzano fondi derivanti da risorse del PNRR e del PNC. Sono previste sanzioni nel caso in cui il datore di lavoro non ottemperi all’obbligo di redazione del rapporto.
  • Istituzione della certificazione della parità di genere che attesta le misure adottate dal datore di lavoro per ridurre il divario di genere. La certificazione comporta sgravi contributivi a carico del datore di lavoro, con il limite dell’1% e di 50.000 € annui per ogni azienda e un punteggio premiale per la concessione di aiuti di Stato e finanziamenti pubblici. 
  • Discriminazione indiretta riveduta: tra le pratiche discriminatorie indirette già previste dal Codice vengono aggiunti gli atti di natura organizzativa e oraria nei luoghi di lavoro riguardanti la progressione di carriera, volti a sfavorire le lavoratrici donne.
  • Istituzione di un tavolo di lavoro permanente sulla certificazione di genere nelle aziende, come strumento di supporto alle autorità politiche per la valutazione dei risultati del sistema di certificazione e come strumento informativo per l’Osservatorio nazionale.

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